intervista di BloodySound fatta originariamente nel 2005 e pubblicata su web nel 2010
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Iniziamo subito con una curiosità personale…ho letto che il titolo del disco, “Bright Future” è preso dal film di un regista giapponese…giusto? Mi dai qualche cenno sul film?
Sì, il disco si intitola come il film di Kiyoshi Kurosawa, regista piuttosto noto in occidente per i suoi psych-horror, come “Kairo” o “Cure”… “Bright Future” è un film sulla speranza, sulla possibilità di scegliere… il film è scandito dal tema ossessivo dell’imperativo a scegliere: ike (vai) versus matte (aspetta). L’interstizio fra l’immobile, aspettare, e il movimento, andare, è qui incarnato da una medusa. La medusa è una possibilità di vita. Il processo inesauribile fra l’attesa in movimento e l’avanzare silenzioso dell’immobile… il disco si sviluppa da questa chance. Ho provato a giocare dentro ad una prigione, a trasformare i limiti in possibilità, le ossessioni in aperture, i cliché in variazioni di processo. L’idea era quella di divenire medusa…che al di là del film è l’organismo vivente che più ammiro e stimo al mondo!!
Cambiamo rotta, dal disco ai concerti… ho visto un tuo recente live a Jesi con i Guinea Pig e, oltre alla musica, mi ha colpito la teatralità del tuo spettacolo e la capacità che hai di tenere la scena completamente da sola… quali sono le maggiori preoccupazioni quando sei sul palco?
La preoccupazione costante è quella di un controllo morbido…nel kung fu si dice che la libertà è data da ossa pesanti e corpo morbido. E’ solo in queste condizioni che posso sperare di mantenere un ascolto costante durante il live, senza dimenticare il controllo. Non è facile e a volte mi perdo. L’intento è quello di far confluire al centro della scena la mia concentrazione e quella del pubblico contemporaneamente. Da questo punto di vista non sono sola sul palco. Siamo insieme. Se chi ascolta non è concentrato il mio live è un flop!! Anche la parte diciamo più “teatrale” risponde di questa esigenza. I muscoli in tensione ed i tremolii, la danza…tutto fa parte di ciò che accade proprio in quel momento. Tutto è un invito a sentire la musica “in presentia”. Io suono da almeno vent’anni ed ho avuto gruppi dall’età di 13 anni. C’è stata un’evoluzione radicale nel mio modo di pensare alla musica. Non ha senso per me l’idea di una separazione fra chi è sul palco e chi è sotto il palco. Lo spettacolo è una macchina anonima ed estemporanea fatta tanto del respiro del pubblico quanto dei nervi scoperti di chi suona. Perciò quello che mi preoccupa di più è la tentazione di chiudermi….di non sapere ascoltare il movimento di chi ascolta – per troppo controllo – o al contrario di aprirmi troppo e iniziare a seguire intenzioni estranee – per troppa morbidezza. Quando si verificano questi squilibri tutto si ferma. Non arriva la voce ed il corpo è paralizzato.
Trovi difficoltà nel riprodurre dal vivo le sonorità del disco?
Sì. All’inizio non mi preoccupavo molto di questo aspetto. IOIOI ha iniziato a fare live almeno sei mesi prima che il disco uscisse, il che significa che nessuno conosceva i pezzi e facevo un po’ quello che volevo! Ora è diventata effettivamente una scelta se e come curare le sonorità del disco. Dal punto di vista tecnico, la maggior parte della volte sono costretta a scendere a compromessi con l’impianto di turno. Il senso comune vorrebbe che un’artista che utilizza molta elettronica non abbia bisogno di grandi accorgimenti tecnici. Ecco, è decisamente il contrario!! Se voglio sperare di fare un bel live ho bisogno che la parte elettronica si senta benissimo, che il volume sia adeguato, che nessuna frequenza venga tagliata e che voce e chitarra siano ben amalgamate fra loro (cosa che raramente accade….). Ho comunque imparato a non prendermela troppo: quando la qualità del suono è mediocre cerco di compensare con la massima intenzione scenica…e la gente inizia magicamente ad immaginare il pezzo…
C’è poi un altro discorso. Il disco l’ho scritto fra la fine del 2003 ed il 2004. L’ho registrato in cameretta, quasi stessi scrivendo il mio diario segreto…ha quel sapore: voci sussurrate, chitarre appena accennate… Nei live al contrario la mia voce è drammatica e le chitarre sono ben presenti.
Potrei anche cercare di essere più fedele al mood del disco. Ma per ora, come ti dicevo, quello che mi interessa è che il diario diventi un’esperienza collettiva. La fedeltà al disco preclude la possibilità di cambiare ad ogni live…e dunque di ascoltare ciò che accade proprio in quel momento.
A livello di pubblico, ci sono differenze tra quello marchigiano e quello “estero”? In generale com’è l’accoglienza?
Ricordo ancora il primo live nelle Marche ad Ancona. E’ stato orribile. Mi sentivo messa al muro. Pazzesco, se consideri che ai tempi nel nord Italia venivo osannata – ovviamente a torto!! – come new sensation della scena underground. Probabilmente molta della responsabilità è mia. Non sono mai completamente rilassata nelle Marche. Il mio super-io ed io-genitoriale si gonfia ed inizia a bacchettarmi. Ok, evito di entrare in questioni psicologiche da femmina complessata ed insicura….Comunque, sì c’è differenza nel pubblico. Con l’eccezione del caso di Jesi.
Quella sera il pubblico era meraviglioso. Non ci potevo credere. Nonostante non abbia fatto una grande performance tutti erano attenti e gentili e curiosi e… wow!!
Con quali gruppi o artisti in Italia ti senti più in affinità?
Mi sento in affinità con chi mi vuole bene!!! Davvero. Credo che i generi e le scelte artistiche differenti non significhino nulla, l’importante è rispettarsi e sapersi trasmettere fiducia e stima reciproca. Mi è capitato che gente con cui mi sentivo in affinità elettiva dal punto di vista musicale si sia poi dimostrata una “merda” dal punto di vista umano e viceversa. Sono una ragazza piuttosto radicale: se non mi rispetti è la fine!!! Purtroppo in Italia è talmente difficile suonare che si genera inevitabilmente un sentimento diffuso di competizione ed invidia. Inoltre, appena qualcuno riesce ad affermarsi un po’ inizia a fare il paparino o il critico musicale dell’ultima ora. Roba da vomito. Dovremmo cercare di amarci e sostenerci tutti e non stare solo a difendere con le unghie il proprio orticello. Quando ci apriamo e riusciamo davvero ad ascoltare il cuore di un altro musicista le categorie scompaiono et voilà siamo un unico cuore. Il mio motto è “love, peace and punk”. Yo!
Come sei entrata in contatto con la Ebria? Vedi bene il tuo nome tra quelli in catalogo?
Conoscevo la Ebria per la coproduzione dell’ultimo disco degli OvO… gli ho spedito il demo e poco tempo dopo mi hanno fatto la proposta di pubblicazione. I ragazzi della Ebria sono favolosi…io li chiamo tutti “fratellini”! Senza il loro entusiasmo IOIOI non sarebbe mai potuta crescere così!
Rispetto al catalogo, direi che il mio disco, a sorpresa, rispecchia a pieno la missione di Ebria: sperimentazione, accenni pop, strutture oblique ed anche elettronica. L’ultimo disco del catalogo Ebria è Echran, un capolavoro di elettronica pura. Synth, laptop, radio. Al contrario di molte etichette italiane i ragazzi della Ebria valorizzano l’idea piuttosto che il mix tecnico ed il genere. E’questa trasversalità dello sguardo che ha reso possibile la pubblicazione di “Bright Future”.
Se un giornalista serio (non io quindi…) ti chiedesse di dove sei, tu risponderesti Macerata o Bologna? Pensi ci sia maggiore interesse, da parte della stampa e della gente, verso artisti provenienti da città “musicalmente rinomate” (come Bologna) piuttosto che da città di provincia (come Macerata)?
Bella domanda!! Se fossi una ragazza marketing oriented direi piuttosto che vengo da Milano, ma sono nata a Kyoto da mamma italo-giapponese…ed avrei già la copertina di Blow Up! Ahahahahah. Sì hai ragione il luogo di origine fa una bella differenza. Fin dall’inizio io ho detto di provenire da Macerata. Solo quando suono nelle Marche preferisco che ci sia l’indicazione Bologna, perché conosco la mia terra e so bene quanta gente con pregiudizi provinciali ci sia. Non considero Bologna un luogo di provenienza come può esserlo per i Settlefish ad esempio. Negli anni di università a Bologna avevo smesso di suonare e detestavo tutta la scena artistica parauniversitaria.
Io sono fuggita da Macerata perché mi stava uccidendo. Dire che IOIOI viene da lì è un gesto di rivalsa e di riappacificazione per me. Mi riprendo la mia storia rovesciandola.
C’è poi da dire che queste cose accadono solo in Italia. All’estero a nessuno importa da dove vieni.
Se poi volessi essere totalmente onesta dovrei dire che IOIOI è francese. E’ in Francia che ho ripreso a suonare, dopo anni di cinica rassegnazione.…uhm, magari inizio a dire che sono francese…vediamo se aumenta il cachet!!! Ehehehh…
Quali ascolti ti hanno portato alla musica che suoni ora? Ed invece cosa ascolti ora?
Ascolto veramente di tutto, dal pop demenziale al free della Tzadik. I miei ascolti non sono fondamentalmente cambiati. Anche se è vero che ultimamente non faccio che ascoltare ossessivamente musica tradizionale cinese, giapponese e coreana.
Come nascono le tue canzoni? Nel senso, viene prima la voce, la chitarra, altro…?
Non ho uno standard compositivo fisso. Se l’idea viene da un pattern elettronico allora cerco di svilupparlo dall’interno, come se ascoltassi i suoi suggerimenti. Voce e chitarra si adeguano al percorso che in qualche modo si è già delineato. Oppure al contrario è la chitarra a guidare ed il resto si avvolge a spirale. Idem per la voce. In generale è importante che tutto respiri. Non intervengo mai con delle scelte a tavolino. Lascio che il pezzo prenda la sua forma quasi in preda alla propria intuizione. Questo modo di comporre viene da un’esperienza fisica che è quella dell’improvvisazione nel movimento. Partire con un’idea e tracciare un percorso orientato nel tempo e nello spazio che sia la traccia del passato – la prima idea – e del presente – i sedimenti casuali del processo. Insomma cerco di non forzare le cose…quando mi dicono che la mia voce da vecchia è fastidiosa rispondo che non posso farci nulla!!! Le cose stanno così…ed è qua che paradossalmente si è liberi!!
Così come abbiamo cominciato, chiudiamo con un’altra mia curiosità…ma che diavolo era quell’aggeggio luminoso con cui suonavi la chitarra a Jesi?!
Ahahahha!! Quel coso è una palla cinese di natale…la vendono nelle bancarelle cinesi per qualche euro. Ha due pulsanti, uno per la luce rotante, l’altro per la canzoncina trash. Altri oggetti cinesi che utilizzo sono un mini-ventilatore (che pare sia utilizzato anche da Stefano Pilia e ci faremo causa per copyright!eheheh), una tastierina a forma di grappolo d’uva, bacchette da cibo e la new entry è un robottino che balla! …ma la palla cinese rotante resta il cult!!!